La storia della valle

 

Ci sono pervenuti fino ai giorni nostri diversi documenti e cartografie che documentano la storia di Val Grande e dell’intero territorio della penisola bibionese dal 1480 circa. Gran parte di questo materiale è stato prodotto dalla Repubblica Serenissima, che grazie alla loro cura documentale e alla bravura dei cartografi a loro servizio, ci permettono oggi di poter ricostruire in modo dettagliato i vari passaggi di proprietà e lavori svolti in questo luogo nei vari secoli della sua storia.

Una storia, quella di Val Grande, che oggi, grazie a una campagna di nuovi scavi archeologici, potrebbe essere retrodatata all’epoca degli antichi Romani. Tracce della loro presenza sono infatti visibili, in particolare la villa marittima “Mottaron dei Frati” presente all’interno della valle, che ne attesta in modo inequivocabile la loro presenza.

Per secoli questo tratto di costa fuchiamato Pigneda, Pineta o Pineda destra, questo lo si deve alla caratterizzante presenza di una vasta area boscata litoranea a pino. Il nome con cui noi tutti oggi riconosciamo Bibione venne dato a metà del ‘900, rifacendosi ad antiche cronache veneziane che in questo luogo identificavano un antico centro marittimo veneziano.
Le prime tracce documentali sono datate 1439 anno in cui il Doge Francesco Foscari attribuiva il territorio lagunare di pubblica ragione collocato tra il fiume Livenza e il Tagliamento agli abitanti di Caorle. A quell’epoca la cittadina di Caorle era l’unico centro abitato Veneziano in quel tratto di costa.
Nel 1480, iniziarono gli scavi del canale Cava che avrebbe permesso il collegamento dal canale di Lugugnana al fiume Tagliamento. Questa opera era ritenuta importante per permettere la navigazione interna e di fatto rese l’attuale Bibione un’isola.
Una cinquantina di anni piu’ tardi, tutta l’area fu confiscata e assoggettata all’Arsenale di Venezia dal consiglio dei Dieci. Sappiamo infatti che il 7 Ottobre 1534, il Doge Andrea Gritti ordina di mantenere o ridurre l’area a bosco con la semina di roveri o altre essenze. I boschi, e quindi il legname, erano infatti ritenuti un bene essenziale per Venezia.
Solo dieci anni piu’ tardi, circa, nel 1543 l’area fu venduta ai nobili veneziani Cappello, che a loro volta, Nel 1574, rivendono la proprietà al nobile Antonio Molin di Venezia.
Sotto questo proprietario, nel 1593, terminarono i lavori di scavo di un nuovo canale navigabile chiamato “Cava Nuova”, che però venne presto abbandonato perché soggetto ad interrarsi durante le piene fluviali.
Per piu’ di 150 anni la proprietà resta in mano alla famiglia Molin e non subisce particolari modifiche. Nel 1760, Lorenzo Molin nuovo proprietario della Pigneda, scoprì dei resti murari nei pressi della attuale Val Grande. Pensò si trattasse di un antico convento posto tra le alte dune e lo “battezzò”: Mottaron dei frari. Si scoprirà solo molto più avanti essere questi gli antichi resti di una villa marittima di epoca Romana, molto probabilmente però un sito sacro, dedicato a Santa Maria della Luvigiana era presente in epoche antiche nei pressi di Baseleghe.

Di quell’epoca abbiamo un scorcio di come fosse quest’area da degli scritti di Jacopo Filasi. Lo storico veneziano nelle sue ‘Memorie storiche de’ Veneti primi e secondi’, descrive così il luogo:

“nelle diserte sabbie poste tra la laguna di Grado e di Caorle sorgevano molte selve littorali di pini, molti pineti marittimi, folti e vigorosi che il paese abbellivano, e molti prodotti davano agli abitanti. Caccie di cinghiali, di martori, di fagiani e falconi peregrini vi facevano gli antichi tribuni e dogi, e tali boschi erano forse diramazioni in gran parte della celebre Selva Caprulana dove fino il capro selvatico esisteva… Un male inteso privato interesse distrusse tali pinedi, dè quali qualche avanzo si scorge di qua e di là del Tagliamento, dove un vasto e soligno piano di quasi 5000 campi Pineda tuttavia è detto.”

Nel 1813, alla morte di Vettor Molin, ultimo esponente della nobile famiglia Veneziana, la proprietà di Pigneda passò in eredità alle famiglie Giusti, Pisani e Cappello.
Non molto tempo dopo, nel 1850, il Conte Francesco Giusti del giardino di Padova, figlio di Paola Molin, vendette la sua parte di eredità a Angelo e Giovanni Costantini di Burano che successivamente acquistarono l’intera proprietà della Pigneda e cercarono di migliorare l’aspetto vallivo per una produzione ittica. Parallelamente a questo avviarono un allevamento di cavalli allo stato brado.
Meno di 30 anni dopo, il 4 marzo 1879, i Costantini vendettero tutta la proprietà al conte Antonio Caccia di Trieste. Il conte continuò l’attività valliva già avviata e ottenne il diritto esclusivo per la pesca del pesce novello a discapito del consorzio peschereccio di Caorle.
Alla morte del Conte Caccia avvenuta a Lugano, in Svizzera nel 1893, il testamento da lui redatto dispose che l’intera proprietà della Pigneda venisse donata al Comune di Udine il quale doveva però destinare metà dei proventi in opere caritatevoli per i poveri e per gli asili del luogo, e che fosse mantenuto usufruttuario suo figliastro il capitano Ugo Bedinello.
Purtroppo negli anni successivi l’area conobbe un periodo di non curanza, intervallato dai saccheggi del 1917-1918 durante l’occupazione Austriaca.
Nel 1925, anno della morte del Capitano Cavalier Ugo Bedinello, il Comune di Udine diviene il solo responsabile della proprietà; il Commissario Prefettizio del Comune nei suoi scritti di quello stesso anno riporta in dettaglio il degrado dell’area.
E’ nel 1926 che il Comune di Udine cedette l’area alle società S.A.C.A., S.A.F.F.A e S.A.PI.DE. La prima si adoperò per rendere coltivabili alcuni terreni, la seconda realizzò delle piantagioni di Pioppo e la terza costruì il primo reticolo di strade e realizzò le prime unità abitative ad uso turistico, inizialmente destinate agli operai della Zanussi di Pordenone.

Nel 1927 la S.A.PI.DE. cedette l’attuale Val Grande e Vallesina per 1.230.000 lire a Luigi Zoli e Carlo Pellegrini, quest’ultimo, in seguito liquiderà il socio rimanendo l’unico proprietario.
Altri appezzamenti di territorio vennero ceduti durante gli anni trenta dal Comune di Udine all’associazione combattenti e reduci, al Comune di san Michele al Tagliamento, e al privato Zelindo Mecchia.
Ma i terreni dell’attuale Val Grande e Vallesina, rimasero di proprietà dei Pellegrini fino al 1939, quando vennero venduti al conte Gerolamo Nani Mocenigo di Cervarese Santa Croce di Padova. Questi avvio’ da subito dei grandi lavori di sistemazione idraulica attivando anche il consorzio di bonifica di San Michele al Tagliamento; i lavori si conclusero otto anni più tardi, nel 1947. Alla morte del conte Nani Mocenigo la proprietà passo agli eredi, fino a giungere a Giacomo Ferri de Lazara.
Nel 1952 iniziò il frazionamento delle proprietà di quella che si chiamava allora Pineda Destra, e da li iniziò la nascita della località turistica e della comunità di Bibione. La proprietà della Val Grande risulta ancora oggi di proprietà della famiglia Ferri de Lazara, il suo “sfruttamento” attuale è come valle da pesca, riserva di caccia e solo negli ultimi anni, anche grazie alla partecipazione gestionale della famiglia Carrer di parziale fruizione turistica.